sabato 18 ottobre 2008


Presentazione del libro "Il Servo Muto"

Sabato 18 Ottobre presso la Sala il Palagio di Pescia alle ore 17 e 30 si terrà la presentazione del libro "Il Servo Muto"

Condurrà la presentazione Faustina Tori, personalità di spicco negli ambienti letterari della Toscana e non solo.

L'ingresso è libero

 





domenica 19 ottobre 2008


Venerdì seconda serata dedicata a Medea presso Allegoria Club - Pescia

'Questa è una storia di viaggi e di conquiste, di intrepidi eroi e potenti arti magiche, di un amore estremo e di delitti disumani.
Questa è la storia di Medea e Giasone'

Venerdì presso Allegoria Club a Pescia si terrà la seconda serata del ciclo "Donne Dei ed Eroi: Parole in Tavola" a cui ho l'onore di partecipare attivamente quale lettore insieme agli amici Pierluigi e Michela, con Paolo nei panni di organizzatore e cuoco impareggiabile. Per chi fosse interessato può contattarmi via mail. Di seguito il link con la brochure con il menù della cena e il programma della serata.

http://www.allegoriaclub.it/Programma171008.pdf





sabato 9 maggio 2009


Sabato 9 Maggio Presentazione de "Il Servo Muto"

patrocina e presenta

 

ASSESSORATO ALLA CULTURA

Incontri con l’autore

MARCO MICHELOTTI

Presenta il suo libro

IL SERVO MUTO

“…in un altro angolo, ma un po’ spostato verso il centro

della stanza, si trova un servo muto, di quelli antichi, in

legno. Non ci sono vestiti appesi, ma sul pomello superiore

è appoggiata una bombetta, nera.”

Sabato 9 maggio

Ore 17,00

Il testo fa parte della Collana Editoriale

“I libri dell’oca”

a cura della casa Editrice SSM Edizioni.

Oltre all’autore saranno presenti all’incontro l’Assessore alla

Cultura, Sig. Iana Lari di Dente, la giornalista Sig. Faustina

Tori, che interverrà come moderatrice e i rappresentanti della

Casa Editrice SSM Edizioni, per la presentazione dell’intera

collana editoriale.

INGRESSO LIBERO

 

 

COMUNE DI PIEVE A NIEVOLE

 

Conferenze

e incontri con l’autore

 

Sede incontri:

Centro Sociale di Via Bonamici, 13

IL COMUNE DI PIEVE A NIEVOLE





lunedì 28 dicembre 2009


dalla raccolta di racconti "I sette peccati capitali" il racconto "L'ultimo peccato" di Marco Michelotti
L’ultimo peccato
 
“Ma sei sicura che sia aperto?” disse il marito mentre parcheggiava l’ingombrante fuoristrada di fronte al ristorante.
“Non vedi che ci sono le luci accese?” replicò lei seccata.
“Vai a vedere ti aspetto qui. L’insegna è spenta, secondo me è chiuso.”
La donna sbuffò e poi, per evitare l’ennesima discussione, scese dall’auto e si diresse verso l’ingresso. La porta era sprangata però anche le luci interne erano accese. Si spostò a fianco verso la larga vetrata che dava sulla sala e buttò dentro lo sguardo. Era un unico spazio aperto, dei tavoli rotondi ai due lati, al centro una grande cucina, tutta a vista. Vide un omone alto trafficare tra i fornelli, doveva essere per forza lo chef, perché in testa portava il tipico cappellone dei cuochi, eppure non era sicura che fosse proprio lui. Avvicinò ancora di più gli occhi al vetro, cosa stava facendo? L’uomo mosse la lingua velocemente, con movimento rotatorio. Poi in modo più lento; pulì prima il labbro inferiore e anche sotto. Dopo passò a quello superiore, arrivò fino quasi al naso e si portò tutti i frammenti di gusto alla bocca. Come un gatto. Gli ridevano gli occhi. D’un tratto lo chef si accorse di essere osservato e superato l’attimo di sorpresa, sorrise alla signora e le fece cenno di andare verso la porta. Si scusò con lei e si disse dispiaciuto, ma il mercoledì era da sempre il giorno di chiusura a “La Grande Motte”. Era aperto solo per una cena privata. La donna si congedò promettendo che sarebbe tornata di certo, che lo conosceva di fama e che non si perdeva una puntata del suo programma di ricette a “Channel Five”. Dopo di che ridiscese i pochi scalini e si preparò mentalmente a sorbirsi l’immancabile predica del marito: “Te lo avevo detto io…”.
 
Era un cuoco goloso, Francesco. Un giorno quando era poco più che un bambino, Arnaldo, il suo maestro, se lo portò con se in cucina, con la scusa di fargli capire la differenza tra mangiare con gusto ma con misura, oppure strafogarsi senza nemmeno percepire le differenze nei sapori, negli odori. Gli mise in mano i coltelli, spiegandogli come doveva muoversi e Francesco eseguì gli ordini alla lettera: tagliò le verdure a striscioline, spezzettò la carne da stufare, sfilettò il pesce con l’apposito coltello piccolo e sottile. Arnaldo gli disse che ci sapeva fare, che non aveva mai visto nessuno maneggiare i coltelli con questa dimestichezza alla prima esperienza, figuriamoci un ragazzino. Citava spesso quell’episodio che lo aveva introdotto nel mondo dell’alta cucina. Arnaldo da allora lo aveva preso a ben volere e finita la scuola lo aveva voluto come suo assistente, prima che Francesco decidesse di provare a fare da solo, accettando alcuni incarichi come chef all’estero, prima in villaggi turistici e poi in ristoranti di livello sempre superiore.
                                                                                                              
Francesco non era più il ciccione che era da ragazzo, però era robusto, le spalle quadrate, oltre un metro e ottantacinque di altezza. Il suo peso oscillava sui novanta chili e doveva fare attenzione e non lasciarsi andare, perché non era più come una volta, quando i cuochi erano grassi e mangioni.
Controllò l’ora: non era tardi e aveva tutto il tempo per terminare le rimanenti portate ed essere pronto a ricevere il suo ospite come stabilito, però era comunque agitato e nervoso. Il pesce spada, crudo e sfilettato, era stato marinato dentro a un bagno di olio, limone e aceto balsamico, di quello speciale, invecchiato per oltre trent’anni. Da ultimo avrebbe aggiunto il pan brioche agli agrumi che ben si sposava con il sapore dello spada crudo: lo avrebbe impiattato e servito, accompagnandolo con i vari tipi di pane che stavano cuocendo nel forno a vapore. Come portata principale aveva deciso di cucinare del capriolo, dalla carne molto magra. Lo aveva fatto cuocere a fuoco lentissimo durante tutta la notte in una pentola speciale adatta a queste cotture estreme. A parte aveva preparato un fondo che aveva fatto ridurre con grande pazienza fino a formare una salsa molto scura e densa, sapida di essenze di erbe, di vino, ma anche del sapore deciso della carne di selvaggina. Gli rimaneva da provvedere alla portata di mezzo, al primo. Era stato indeciso, aveva fatto delle prove, poi alla fine aveva scelto. Ne aveva fatti due. Aveva preparato dei ravioli di carruba che avrebbe poi servito con un condimento a base di zucca, molto delicati; dopo, un risotto cucinato con una varietà speciale di riso, tirato su insieme a un ragù di alzavola e di beccaccia.
Il vino era già stato scelto con cura. Una bottiglia di rosso, francese, un bordeaux di grande struttura e di ottima annata, che si sarebbe sposato a meraviglia con lo spezzatino di capriolo, ma anche con il risotto. Per l’antipasto e per il raviolo avrebbe fatto scegliere al suo maestro; in fresco aveva messo un grande bianco fermo, un siciliano, e uno champagne, un blanc de blanc millesimato, del produttore che una volta era il preferito di Arnaldo.
Restava il problema del dessert.
Nel frattempo Francesco si era messo a emulsionare i ceci insieme con del rosmarino profumatissimo e del pepe nero di Sichuan. Sarebbe stato un pre-antipasto gustoso che avrebbe guarnito con due gamberi, delle mazzancolle freschissime e decorato con un rametto di rosmarino.
Quasi tutto era pronto, così liberò il suo aiutante, che aveva apparecchiato la tavola, per due. A dire il vero lui si era offerto di restare, per dargli una mano e lasciare che lo chef si godesse la cena. Niente da fare, voleva restare da solo. Solo con il maestro.
Si lavò e si cambiò, per l’occasione indossò il completo scuro, con delle righine che lo facevano quasi elegante, poi nell’attesa gettò di nuovo un’occhiata alla sala, alle luci, ai fiori. Dettagli. Ma proprio Arnaldo gli aveva insegnato che chi si siede alla tua tavola deve essere coccolato, deve mangiare con gli occhi prima di tutto e che curare ogni dettaglio, al limite della fissazione, non rappresenta solo forma. È sostanza, è quel “quid” che può fare la differenza tra il normale, l’ordinario, e qualcosa che invece ricordi per sempre: un’esperienza.
Arnaldo arrivò puntuale, bussò con le nocche sulla vetrata ed entrò con il suo solito stile, con un mazzo di fiori nella mano sinistra. Era il solito: gli dette prima un buffetto e subito dopo una strizzata sulle lonzette della pancia, mentre lo abbracciava, con calore. Aveva ormai superato i sessanta, ma era ancora in forma: non si era appassito. Il suo aspetto era brillante e giovanile, né tantomeno aveva perso i capelli, che portava con il solito taglio, un po’ lunghi, con un ciuffo su un lato e che avevano soltanto cambiato di colore, essendo adesso grigi e non più neri corvini. Anche gli occhiali erano i soliti, la montatura nera e squadrata.
Parlarono del più e del meno. Francesco gli raccontò subito le sue esperienze più recenti, anche se tutte le argomentazioni finirono comunque per incentrarsi sulla stella, così agognata, cercata, bramata, di cui finalmente il ristorante poteva adesso fregiarsi. Arnaldo lo ascoltò attento, non senza mostrare orgoglio per qualcosa che sentiva un po’ anche suo, forse anche un pizzico di emozione.
La cena ebbe inizio. La tensione di Francesco si allentò presto e di pari passo alle ottime impressioni e commenti di Arnaldo già sulla prima portata, ma anche grazie allo champagne e alle sue bollicine che lui sentiva frizzare non solo nel palato e sulla lingua, ma anche più su, fino nella testa e nel cervello.
Quando passarono al Bordeaux, per accompagnare il risotto e a seguire il capriolo, erano già entrambi rilassati e anche Francesco, che di solito mentre lavorava non riusciva mai a lasciarsi andare e rimaneva sempre concentrato e a volte anche un po’ teso, cominciò a scherzare e a sentirsi leggero, questo nonostante avesse studiato e immaginato ogni minuto di questa cena, perché tutto riuscisse perfetto. Sul capriolo vennero fuori i commenti più entusiastici. Francesco era sempre ammirato per come il suo maestro riuscisse ad assaporare ogni cibo con la calma più totale: si portava alla bocca dei piccoli pezzi della pietanza, ogni volta facendo attenzione di intingerla bene nel sugo e infilzando anche piccoli pezzi di contorno, dopo di che si teneva quel boccone succulento in bocca attendendo qualche istante prima di cominciare a masticarlo, senza fretta. Spesso teneva anche gli occhi chiusi per goderne di più.
Questo rituale aveva un che di sacrale tanto che Francesco non osò mai rompere il silenzio, lasciando che fosse sempre il suo maestro a riprendere la conversazione, una volta soddisfatto il suo desiderio di cibo, in quello che una volta scherzando Arnaldo aveva definito “orgasmo culinario”.
 
Francesco sparecchiò la tavola. Arnaldo non aveva finito il suo capriolo, come sempre, mentre invece il giovane, pur controllandosi, non aveva potuto fare a meno di riprenderne dell’altro, facendo anche attenzione a non lasciare nemmeno una goccia di quel sugo sapido in cui intinse ben due fette di pane.
Era il momento del dessert e Francesco ebbe un attimo di imbarazzo, non aveva volutamente preparato niente. Avrebbe potuto improvvisare e fare del gelato al pistacchio di Bronte o al fiore di sambuco, però…
La prima volta che avevano fatto la “sbriciolona” insieme, Francesco si era appena diplomato alla scuola alberghiera, però se la ricordava ancora quella sera. E si ricordava soprattutto quanto gli era piaciuto quel dolce, a lui così goloso, tanto che ne aveva mangiato a più non posso e Arnaldo lo aveva lasciato fare, niente prediche quella sera. L’aveva rifatta nel corso degli anni, anche se sempre per se o per gli amici; tra colleghi vigeva una regola non scritta che non è bella cosa copiare le ricette altrui. Non era mai riuscito però ad eguagliare il suo maestro. La pastafrolla gli veniva stupenda, buonissima, la granella di nocciole era superba: sceglieva le materie prime migliori, faceva arrivare direttamente dal Piemonte la frutta secca in guscio che poi tostava e tritava in prima persona. Però la crema… Arnaldo nella crema era inarrivabile. Francesco la faceva ottima, ma il risultato complessivo la rendeva a suo modo di vedere “ordinaria”.
Glielo chiese. E Arnaldo non nascose una certa sorpresa: dopo così tanti anni…
Si levò la giacca e indossò un grande grembiule bianco. Poi si mise subito al lavoro. Anche adesso che lui, il maestro, era ormai in pensione, adesso che i ruoli potevano considerarsi invertiti, Francesco continuava a comportarsi  come l’allievo. Lasciò la cucina, il suo regno incontrastato, nelle mani del vecchio amico e si fece da parte, mettendosi in un angolo a osservarlo all’opera. Non si riteneva una persona invidiosa, però pur rispettando gli altri colleghi, c’era comunque anche in lui un certo orgoglio, una certa gelosia per le proprie ricette, un desiderio di primeggiare sugli altri cuochi. Con Arnaldo niente di tutto questo, a lui avrebbe affidato ogni segreto della sua cucina senza nessun timore. Da sempre.
Dopo che il maestro ebbe predisposto gli ingredienti e messo al fuoco la crema, i due ripresero a conversare, ritrovarono lo stesso clima rilassato. Arnaldo gli parlò dei suoi progetti, stava per intraprendere un lunghissimo viaggio, lui da solo; da tempo ormai aveva perso interesse nelle donne e nel sesso in genere, tanto da stare alla larga da ogni relazione o compagnia.
Quando la crema fu pronta e raffreddata, Arnaldo chiese all’amico di accomodarsi a tavola e di aspettare lì. Francesco si era immaginato la scena tante volte nei giorni che avevano preceduto la cena: il maestro che dispone qualche cucchiaiata di crema e poi a seguire le briciole di pastafrolla, il trito di nocciole, la guarnitura dei piatti fatta con dei cedri canditi, preparati con i frutti del giardino.
Fece come l’amico gli aveva detto: sedette e si rilassò concentrandosi sulla musica e pregustando il momento.
Quando arrivò con i piatti Arnaldo si era già tolto il grembiule. Era perfetta, la “sbriciolona”. Per una volta Francesco seguì in modo pedissequo i consigli dell’amico: si dette il tempo, tanto tempo, per lasciare che ogni papilla del suo palato godesse di quei sapori sublimi. E gustò, gustò, gustò…
Passarono cinque minuti, forse dieci, un’eternità: gli sembrò che quei minuti non passassero mai. Voleva che non finissero mai.
Però finì; quando ebbe raschiato e raccolto ogni più piccolo residuo del dolce con il cucchiaio e si rese conto che quel piacere era giunto al termine, lo lasciò cadere nel piatto, tirò un po’ indietro la sedia e rialzò la testa incrociando lo sguardo del maestro.
Avrebbe voluto chiedergli di mangiarne ancora, ne avrebbe divorate altre tre, forse quattro.
Si schiarì la gola come per dire qualcosa. Ma non disse niente, semplicemente sorrise al suo maestro.
 
Arrivò il momento dei saluti, Arnaldo non era solito tirare fino a tardi. Si abbracciarono a lungo e il maestro ebbe parole di grande affetto e stima per il giovane. Promisero di rivedersi presto, Arnaldo scherzando gli disse che sperava di rivederlo prima dell’attribuzione della seconda stella, anche in maniera più informale.
 
Una volta solo, Francesco si trattenne nel ristorante per sistemare la cucina, almeno in modo sommario, rimandando all’indomani il grosso del lavoro. Si sentiva davvero appagato. Eppure quando vide il recipiente dove era rimasta molta della crema preparata in modo sublime da Arnaldo, ebbe un sussulto. Come un impulso irrefrenabile, una voglia matta. Riuscì a resistere. Anzi spostò la crema in un angolo della cucina; dopo avrebbe deciso se versarla in piccoli contenitori monoporzione da porre nel congelatore e usare di volta in volta, oppure in un contenitore più grande, da mettere in frigo per consumarla lui stesso o in cucina l’indomani.
Quando cedette aveva quasi terminato le pulizie. Credeva ormai di avercela fatta, invece riprese in mano il contenitore con la crema e si disse che in fondo l’indomani avrebbe perso molto, non sarebbe più stata la stessa cosa. Prese le briciole di pastafrolla e le rovesciò direttamente nella terrina e dopo le nocciole. Aggiunse anche delle gocce di cioccolato fondente finissimo. Poi prese un cucchiaio, di quelli belli grandi. Le prime cucchiaiate se le mangiò in piedi, prima di decidersi a portare il tutto in sala, ad un tavolo, dove sedette per divorare tutto quel ben di dio, cacciando la testa fin quasi dentro al contenitore. Due o tre volte si disse che ne avrebbe mangiato solo un’ultima cucchiaiata, salvo poi non farcela sopraffatto da quella assoluta bontà.
Solo quando ebbe finito tutto, riportando la terrina vuota in cucina, si pentì. Lavò subito con cura ma con foga il recipiente in ceramica e poi lo ripose nella dispensa.
Adesso ogni traccia era cancellata.
   




giovedì 25 marzo 2010


Sul sito officineWort.it i vincitori del concorso letterario Turno di Notte

Sul sito officineWort.it i vincitori del concorso letterario Turno di Notte dove un mio racconto è stato segnalato.

On line anche una foto di alcuni partecipanti tra cui oltre a me anche l'amico "Cocomero" David  "Cube" Fini

Questo il link:

http://www.officinewort.it/presentazioni-reading/proclamazione-dei-vincitori-del-concorso-turno-di-notte